Se hai letto la prima parte di questo articolo, avrai scoperto qualcosa in più sugli introversi e gli estroversi e, se ritieni di essere una persona introversa, ti sarai probabilmente riconosciuto in alcune – se non tutte – le caratteristiche dell’introversione.
E ora?
La sfida di molte persone introverse è adattare il proprio carattere e le proprie inclinazioni al contesto in cui vivono: un contesto spesso basato sulla socialità, sul sapersi promuovere (sia personalmente che professionalmente), sull’attirare l’attenzione degli altri e sulla competitività. Chi è spontaneamente estroverso molto spesso si trova ad essere avvantaggiato in molti ambienti: dalla scuola elementare all’università, il livello di partecipazione in classe degli alunni è considerato un criterio di valutazione, così come in molti ambienti di lavoro la capacità di prendere la parola in contesti quali riunioni e meeting aziendali viene considerata di per sé una qualità.
Dal punto di vista sociale, poi, è noto da tempo grazie a numerose ricerche di psicologia sociale che, all’interno di un gruppo – reale o virtuale – le persone che parlano di più o tendono a mettersi in evidenza ricevono maggiore attenzione da parte dei pari e vengono considerate in molti casi più autorevoli e competenti.
Il problema dell’incoraggiamento all’estroversione nelle scuole, nelle università e nei contesti lavorativi non è il fatto che l’estroversione sia qualcosa di negativo – al contrario è una caratteristica della personalità che può essere estremamente positiva – ma che non ci sia nessun tipo di correlazione tra l’estroversione e il livello di competenza acquisita su un determinato argomento o in un determinato settore.
Al contrario, per migliorare alcune competenze, anche le persone più estroverse potrebbero trarre giovamento da alcune abitudini a cui le persone introverse sono più inclini: infatti alcune ricerche riportate da Cain nel suo libro dimostrano che ci sono alcuni ambiti e alcune situazioni in cui gli introversi se la cavano meglio.
In cosa gli introversi sono tendenzialmente più bravi?
- Creatività e produttività.
Quanti di voi hanno fatto esperienza di lavori e progetti di gruppo a scuola e durante l’università? Quanti di voi hanno partecipato ad un brainstorming con altri colleghi per un progetto di lavoro? Quanti di voi lavorano o hanno lavorato in un ufficio open space?
Molte aziende, soprattutto nel settore creativo, sono fondate sul concetto che la collaborazione e il continuo confronto siano il motore della creatività e della produttività: per questo nei nostri luoghi di lavoro facciamo riunioni su riunioni e, se svolgiamo un lavoro creativo – ma la cosa si sta espandendo anche ad altri settori – siamo sempre inseriti in un team, quasi ogni progetto parte con l’amato/odiato/controverso brainstorming e molto spesso lavoriamo in un ufficio smart e open space, senza delle postazioni assegnate o vere e proprie stanze a cui si possa chiudere la porta.
La tecnica del brainstorming è stata inventata dal pubblicitario Alex Osborn, che cercava un modo per aumentare la creatività dei suoi dipendenti, ed ebbe un tale successo che, da quel momento, chiunque abbia avuto almeno un’esperienza lavorativa all’interno di un contesto strutturato si è probabilmente ritrovato a partecipare ad un brainstorming.
Già nel 1963, uno studio condotto dallo psicologo Marvin Dunnette all’Università del Minnesota dimostrò che il brainstorming non aumenta la creatività.
Il ricercatore radunò 48 scienziati e 48 pubblicitari della 3M (l’azienda che ha inventato il Post-it) e chiese loro di svolgere sedute di brainstorming basate su un problema da risolvere, sia da soli sia in gruppi da quattro persone. I ricercatori contarono poi il numero delle idee prodotte dai gruppi e dai singoli e diedero loro un punteggio su una “scala di realizzabilità”.
In 23 casi su 24, il numero e il punteggio qualitativo delle idee prodotte in solitaria erano maggiori rispetto a quelle prodotte in gruppo.
Questa ricerca e quelle successive hanno portato alla conclusione che il brainstorming di gruppo non funziona e che più il gruppo è grande più i risultati peggiorano.
Al contempo alcune grandi aziende, come la Rebook, hanno riscontrato un aumento della creatività e della produttività dei loro dipendenti passando da un ufficio open space – in cui le persone vengono continuamente distratte e interrotte da colleghi, superiori e stimoli esterni – a cubicoli e uffici personali in cui i dipendenti, soprattutto del settore creativo e informatico, potevano lavorare in autonomia e in tranquillità, senza rumori e distrazioni.
Altre grandi aziende, come la Pixar o la Microsoft, hanno adottato una soluzione intermedia in cui gli uffici sono composti sia da grandi spazi condivisi, sia da spazi più ristretti con porte scorrevoli in cui le persone posso “rifugiarsi” quando hanno bisogno di lavorare in autonomia.
Il motivo di questo aumento della produttività risiede nel fatto che le “nicchie rigeneranti”, ovvero quegli spazi di autonomia e solitudine in cui ci immergiamo quando non siamo distratti dal dover collaborare con qualcun altro, favoriscono la flow experience e la pratica deliberata.
2. Pratica deliberata e apprendimento
Uno studio del ricercatore Anders Ericsson dimostra quanto la pratica deliberata solitaria, ovvero il regolare e approfondito studio, esercizio e allenamento in solitudine in una determinata disciplina sia l’elemento discriminante per il raggiungimento di risultati elevati.
Lo psicologo chiese agli insegnanti di un conservatorio di classificare i propri studenti di violino in tre gruppi: i “violinisti superiori”, che avrebbero potuto intraprendere la carriera di solisti internazionali; i “buoni violinisti” e infine coloro che avrebbero al massimo potuto diventare insegnanti. A ciascuno studente, che non sapeva di essere stato classificato in un modo piuttosto che nell’altro, venne chiesto di tenere un diario sulle proprie attività musicali e si scoprì che i “violinisti superiori” consideravano le sessioni di esercizio di gruppo in modo secondario rispetto all’esercizio in solitaria, che consideravano invece il loro vero lavoro.
Secondo Ericsson, la deliberate practice solitaria è il fattore maggiormente predittivo dell’eccellenza, tanto che anche molti atleti di sport di squadra dedicano molto tempo alla pratica solitaria.
La pratica deliberata è molto amata dagli introversi perché è un’attività che si svolge al meglio in solitudine, in quanto puoi concentrarti senza essere distratto o interrotto e scaturisce da una motivazione interna, data dal semplice piacere di svolgere quell’attività e che viene chiamata flow experience: quella sensazione di piena concentrazione e immersione in qualcosa che ci fa perdere la cognizione del tempo.
3. Leadership
Sembra quasi contraddittorio, ma gli introversi possono essere leader molto efficaci e apprezzati: alcuni tra i più grandi leader della storia sono stati infatti in grado di dare origine a vere e proprie rivoluzioni pur non avendo le caratteristiche del leader direttivo ed estroverso che siamo abituati a riconoscere. Queste persone sono caratterizzate dalla capacità di esercitare quello che il professor Preston Ni definisce Soft Power, ovvero uno stile di leadership basato su una modalità “morbida” e non aggressiva di comunicare la propria direzione agli altri. Questo tipo di leader è in grado non solo di conquistare la stima degli altri, ma anche di ispirarli.
Questa capacità deriva da ciò che Ni chiama “perseveranza silenziosa”, ovvero la capacità diportare avanti le proprie idee e le proprie convinzioni, trasferendole agli altri senza aggressività ma con risolutezza, controllando le proprie reazioni.
Apprendere uno stile di leadership come questo permette, anche alle persone introverse, di ricoprire ruoli di responsabilità rispettando le inclinazioni caratteriali di ognuno.
“A questo punto credo sia importante dire che adoro gli estroversi. […] Anche Carl Jung, lo psicologo che per primo ha reso popolari questi termini, ha detto che il puro introverso o il puro estroverso non esistono, e che una persona così starebbe in un manicomio per lunatici, se esistesse.”
Dopo il successo del suo libro, Susan Cain ha smesso di fare l’avvocato a Wall Street e ha iniziato la sua Quiet Revolution, con cui si impegna a promuovere una cultura di maggiore equilibrio tra le diverse qualità umane e sprona le persone introverse a non sentirsi inadeguate, ma a scoprire le proprie inclinazioni e le proprie potenzialità, in modo da riconoscere i contesti e le situazioni in cui la loro personalità possa davvero dare il massimo.
FONTI:
- Cain, S. Quiet. The Power of Introverts in a World that Can’t Stop Talking. Crown Publishers, New York, 2012.
- Dunnette, M. et al. The Effect of Group Participation on Brainstorming Effectiveness for Two Industrial Samples. Journal of Applied Psychology, 1963.
- Ericsson K.A. et al. The Role of Deliberate Practice in the Acquisition of Expert Performance. Psychological Review, 1993.
- Csikszentmihalyi, M. Flow: The Psychology of Optimal Experience. Harper & Row, New York, 1990.