Cosa c’entra il Pride con Black Lives Matter?

Si sta per concludere il Pride Month, il mese dedicato ai diritti delle persone LGBT+ e, al contempo, un altra lotta, quella di Black Lives Matter, ha iniziato a farsi sentire con tutta la sua forza. Ma cosa c’entra il Pride con Black Lives Matter?

Questo Pride Month, però, è stato diverso, e da molti punti di vista: non abbiamo potuto celebrarlo di persona, scendere in piazza, incontrarci e riunirci, vedere quel fiume di persone che inonda le città e che fa capire, anche ad una persona etero e cisgender, quanto sia importante quel momento per non sentirsi sol*, per sentirsi inclus*, per sentirsi supportat*.

Ma è stato diverso anche per un altro motivo: la fine di maggio e l’inizio di giugno è stato anche il momento in cui il mondo è stato tutto fuorché arcobaleno, al contrario si è tinto di nero

Dopo la morte di George Floyd, una persona afroamericana di 46 anni, avvenuta per mano della polizia sotto gli occhi di tutt* in una strada di Minneapolis e ripresa da diversi passanti, il movimento Black Lives Matter , nato spontaneamente nel 2013 in reazione ad una delle tantissime morti avvenute negli Stati Uniti, che vedono le persone nere – nel 2013 si trattava di un ragazzo diciassettenne – vittime della violenza ingiustificata e spesso impunita della polizia.

Il Pride è stata la manifestazione in cui personalmente, finora, ho visto più inclusione e più diversità: persone di tutte le età, di diversa etnia e origine, di tutti gli orientamenti e di tutte le identità, persone con disabilità, famiglie “tradizionali”, famiglie arcobaleno, genitori e figli*, nonn* e nipoti.

Secondo molt*, il Pride e la comunità LGBT+ in generale sono e devono diventare sempre di più il simbolo della celebrazione delle diversità: per questo motivo, nel 2018 è stato proposto di inserire nella bandiera arcobaleno anche i colori nero e marrone, per dare visibilità alla lotta delle persone nere e, più in generale, non bianche, all’interno della comunità LGBT+.

Se questa proposta ti sembra una forzatura o se il suo significato ti sfugge, allora potresti trovare interessante scoprire o ripercorrere come e ad opera di chi è nato il primo Pride della storia e perché, ancora oggi, c’è bisogno che la comunità LGBT+ tenga alta la guardia sul suo livello di inclusione.

In questo articolo, quindi, voglio:

Il primo Pride

Due delle più importanti figure storiche che sono diventate il simbolo della lotta LGBT+ erano due donne transgender, sex workers, la prima afroamericana e la seconda di origini latineMarsha P. Johnson e Sylvia Rivera.

Marsha P. Johnson è stata una delle fondatrici del Gay Liberation Front, il movimento in difesa dei diritti civili delle persone LGBT, nato negli Stati Uniti negli anni ’70. Insieme all’amica transgender Sylvia Rivera, fondò la STAR (Street Transvestite Action Revolutionaries), una delle prime organizzazioni che offriva aiuto e protezione alle persone transgender e alle drag queen di New York

In un periodo in cui l’intera comunità LGBT era fortemente emarginata e spesso presa di mira dalle forze dell’ordine, le donne transgender e le drag queen erano particolarmente a rischio: molte senza fissa dimora, costrette a prostituirsi per sopravvivere perché spesso allontanate dai propri posti di lavoro o impossibilitate a trovarne uno, vittime di violenza, alcolismo e tossicodipendenza. 

È in questo clima che Marsha e Sylvia si trovano allo Stonewall Inn, storico locale gay del Greenwich Village (in cui solo da poco le donne transgender e le drag queen erano state ammesse) la notte del 27 giugno 1969, quando con una irruzione della polizia e la conseguente resistenza degli avventori del locale, hanno inizio i moti di Stonewall, che hanno dato origine al movimento LGBT+.

Il corpo di Marsha P. Johnson è stato ritrovato nel fiume Hudson, il 6 luglio 1992, poco dopo il primo Gay Pride della storia. La polizia archivia il caso come suicidio, nonostante la dinamica della morte non sia affatto chiara.

Sylvia Rivera ha vissuto senza fissa dimora per quasi tutta la sua vita ed è stata fischiata dai manifestanti sul palco del primo Pride (nella GIF qui sopra), emarginata dalla sua stessa comunità, che non era ancora inclusiva nei confronti delle donne trans.

Quanto è inclusiva la comunità LGBT+?

Il movimento LGBT+ nel suo insieme è sicuramente promotore di un’inclusione sociale a tutto tondo, che si prende la responsabilità di dare voce e spazio, all’interno di una lotta solidale, non solo alle diverse identità sessuali, ma anche alle disabilità e alle minoranze etnico-religiose.

Ma, se globalmente la comunità LGBT+ rappresenta una lotta per tutt*, nessun* esclus*, non si può purtroppo dire lo stesso per alcuni sotto-gruppi che si inseriscono all’interno della comunità stessa.

È il caso, per esempio, di un gruppo LGB italiano che si batte per i diritti delle donne e in particolare delle donne lesbiche, ma esprime esplicitamente la propria politica di discriminazione nei confronti delle donne transgender.

L’atteggiamento fondamentalmente transfobico di questo gruppo segue la stessa dinamica di tutti i ragionamenti omo-lesbo-bi-trans-fobici, ovvero: riconoscere un diritto a te significa far perdere un diritto a me. 

Dinamica contro la quale la stessa organizzazione si impegnerebbe, in teoria, a fare attivismo. 

La questione della doppia minoranza

Quando parliamo di diritti umani parliamo anche di salute mentale e benessere psicologico: da questo punto di vista, le persone che si identificano con un gruppo minoritario possono soffrire di una particolare forma di disagio chiamata minority stress.

La stessa persona può però avere più di una identità minoritaria: può essere donna e lesbica, donna e transgender, gay e di colore, gay e di religione musulmana in un Paese a maggioranza cristiana, queer e disabile, ecc.

Appartenere a più minoranze significa dover lottare con le discriminazioni e i pregiudizi a cui sono sottoposte TUTTE quelle minoranze.

Per questo il Pride è diventato il Pride e non più il Gay Pride: per ricordarci che non ci sono discriminazioni di serie A e discriminazioni di serie B, ma che alcune persone devono fare i conti con il fatto di essere una minoranza nella minoranza e che la lotta è anche e soprattutto per loro.

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